sabato 20 novembre 2010

“Il Foglio volante” di dicembre 2010

È pronto “Il Foglio volante” di dicembre 2010
“Il Foglio volante” di dicembre 2010, che viene spedito agli abbonati in questi giorni, è un numero speciale dedicato alla XIII edizione del Premio di Poesia “Città di Sant’Elia Fiumerapido” e vi compaiono, oltre all’articolo di apertura e al verbale della Giuria, i testi poetici dei primi tre classificati, Giancarlo Interlandi, di Acitrezza, Ambra Simeone, di Gaeta e Carla Baroni, di Ferrara. Vi sono inoltre le firme di Bastiano, Enzo Bonventre, Loretta Bonucci, Amerigo Iannacone.
Chi desideri ricevere copia saggio, la può chiedere a uno degli indirizzi: edizionieva@libero.it, edizionieva@edizionieva.com, opp. per telefono al n. 0865.90.99.50.
Riportiamo, qui di seguito, la poesia vincitrice del Premio “Sant’Elia” e una lettera di Carlo Minnaja con un ricordo di Giuliano Manacorda.
Ricordo di Giuliano Manacorda
Leggo soltanto sul “Foglio” di ottobre, con tristezza, pur senza stupore, della morte a oltre 90 anni di Giuliano Manacorda. Vorrei anch’io contribuire nel mio piccolo ad un omaggio all’Uomo, dal quale mi hanno sempre diviso idee e parametri di giudizio, ma del quale ho sempre sentito una forte influenza.
Fu mio professore di storia e filosofia al liceo “Mamiani” di Roma nel biennio 1956-1958, dunque prima che le sue doti di critico letterario lo portassero all’insegnamento universitario di letteratura italiana. Spiegazioni chiarissime, appassionanti, coinvolgenti; interrogazioni istruttive, educative, mai noiose; voti equilibrati che riconoscevano a tutti il giusto merito. Esigente, sí, ma mai scioccamente pignolo.
Nel rileggerne oggi i necrologi che non avevo visto a suo tempo ritrovo, ovunque ripetuto, quello che avevo percepito da alunno: una indefettibile adesione, quasi religiosa, al marxismo. In un ambiente come quello degli insegnanti medi a Roma, conservatore con un occhio molto nostalgico al passato regime, essere un comunista militante, “fare politica in classe” era certamente un atteggiamento dirompente che suscitò in noi ragazzi passioni di opposti segni. Certamente la mia (seconda) laurea in storia, presa a 66 anni a Venezia, fu un ricordo di Lui, e mi ero proposto di andare a Roma a dirglielo, per mostrargli come, a decenni distanza, la sua influenza su di me non si fosse sopita. Purtroppo non ne ebbi occasione.
Ricordo, in una classe che scioperava in solidarietà con Nagy, la sua giustificazione della repressione della rivolta ungherese del 1956, e ricordo il suo destreggiarsi nei commenti sui crimini di Stalin denunciati da Krusciov al XX congresso del PCUS. Ci pareva che si arrampicasse sugli specchi, per non riconoscere quanto a noi pareva ovvio, cioè il fallimento dell’ideologia comunista cosí come trasposta nei regimi dell’Europa orientale. Fu coerente anche in una vivace discussione con me sulla validità dell’esperanto, che egli vedeva ancora nell’ottica gramsciana, che a me sembrava già allora largamente superata dalla storia. Ma nonostante queste differenze di fondo, oggi rendo volentieri onore alla sua competenza, alla sua passione di insegnante, alla sua capacità di invogliare i giovani allo studio della storia. La scuola attuale avrebbe estremo bisogno di professori come è stato Giuliano Manacorda.
Carlo Minnaja

Il mio destino di figlio
E penso ai papaveri – padre –
che accarezzavi con lame taglienti di falci
con vomeri aguzzi d’aratri
e alle viole strappate dell’orto
che dissodavi con mani voraci di zappe
E penso al tuo pane ora – madre –
che lievitava fra i palmi
delle tue bianche mani di ninfa
e alle vendemmie e alle trebbie
alle innocenti farfalle stanate
da splendidi fiori di campo
Io se nacqui e ora sono
cosí come sono e non altro
lo devo a quei pugni
che hanno gettato semi nei solchi
lo devo alle palme
che olezzavano sempre di pane lo
devo a un aratro
che ha scritto un giorno una storia cosí
E quella storia ora – padre –
è il mio destino di figlio
Ma le mie mani
ora non fanno piú gesti cosí
Io non tocco altro aratro
che quello di penne sui fogli
io non faccio
che ungere un solco di pianto
che mietere un verbo nell’anima
che seminare assurde parole
nell’orto deserto del foglio
dove rintoccano – padre –
ore pesanti di piombo
echi lontani di vanghe
Ma se io sono cosí come sono
e non altro
lo devo solo a quei gesti
a quei tonfi a quei passi
a quel continuo affannarsi di mani
a quel lento rullare di falci e di zappe
La vera storia – sai padre –
non è quella scritta sui libri col sangue
ma quella che tu hai scritto per terra col sale
e col miele inebriante
del tuo piú ingenuo sorriso nell’anima.
            Giancarlo Interlandi
            Acitrezza (Catania)
Primo classificato al Premio “Città di Sant’Elia Fiumerapido” 2010.

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